"I ragazzi devono essere felici e divertirsi giocando a tennis". Fabio Moscatelli, Vice Presidente della FIT in Umbria e Maestro al Tennis Club di Terni, ci racconta come crescere le speranze del futuro: "Come Maestro posso insegnare a giocare a tennis, ma non ad essere Federer"
Intervista di: Emiliano Severoni...
Tennis – Terni. Il futuro del tennis italiano passa
anche sui campi in terra rossa e in erba della verde Umbria: Fabio
Moscatelli, Vicepresidente della FIT in Umbria e Maestro di tennis con
un’esperienza di oltre trent’anni, ne è uno dei protagonisti. Nello
specifico opera al Tennis Club Terni, una solida realtà
che esiste dal 1975. Fabio è stato per dieci anni responsabile
nazionale dell’AICS Tennis e responsabile della commissione tecnica
internazionale dello CSIT.
Forte della convinzione che il futuro lo si prepari oggi, nel tennis
come nella vita, Fabio Moscatelli nel corso dei suoi 32 anni di attività
come Maestro di Tennis Club, ha seguito molte giovani promesse. Ma cosa
fa sì che promettenti giocatori si trasformino in campioni oppure che
finiscano per appendere la racchetta al chiodo? Quanto pesa il carattere
del bambino, rispetto all’impegno dei genitori? Oppure quanto contano
le scelte del Maestro, rispetto al talento ancora inespresso? Nel corso
della nostra intervista con Fabio Moscatelli cercheremo di scoprirlo,
carpendo i segreti di tanti anni di attività.
D: Fabio, trentadue anni sono un grandissimo bagaglio di esperienza.
Fabio Moscatelli: “Possiamo dire che io sono il classico prodotto
“di gavetta”. Ho iniziato nel 1981 come quarto maestro, ovvero colui
che giocava con tutti e alla fine raccoglieva le palle e ripuliva i
campi. Col tempo ed il lavoro, ascoltando e recependo l’esperienza di
alcuni Maestri molto importanti, sono cresciuto fino a diventare il
direttore della Scuola, comprendendo che questo mestiere non si limita
al solo insegnamento del dritto e del rovescio ma che ha una complessità
più vasta”.
D: In cosa consiste principalmente il tuo lavoro qui al Tennis Club Terni, a parte l’insegnamento sul campo?
Fabio Moscatelli: “A 52 anni per ovvi motivi si diventa meno
scattanti sul piano fisico. Ma la mente funziona meglio, l’impegno
agonistico diminuisce e inevitabilmente il tuo lavoro inizia a
somigliare un po’ a quello di un direttore d’albergo. Bisogna gestire e
coordinare tutte le attività del Circolo che consistono nell’allenamento
di giocatori di svariate fasce d’età e categorie, dal classificato 2.4
che a 32 anni vuole mantenere la sua posizione al bambino di 8 anni che
comincia la propria avventura nel tennis. La nostra è una Scuola molto
improntata sull’attività agonistica e negli anni ha prodotto risultati
piuttosto buoni.
D: Qual è il tuo approccio nell’insegnamento del tennis ai bambini?
Fabio Moscatelli: “Prima di ogni altra cosa, i ragazzi devono
essere felici, devono giocare e divertirsi. Dobbiamo tenere conto del
fatto che la società è molto cambiata rispetto a quando ho iniziato
questo lavoro, di conseguenza sono cambiati i ragazzi. Le loro capacità
cognitive sono assai diverse da quelle di un bambino nato, ad esempio,
negli anni ottanta. Oggi dispongono di una quantità incredibile di
informazioni che vengono dalla modernità e dai nuovi mezzi di
comunicazione. I messaggi arrivano più veloci, più diretti e più chiari e
le loro capacità potenziali sono maggiori. Per contro, credo che in
questi ultimi anni sia venuto a mancare uno degli aspetti determinanti
nella formazione di un giovane ragazzo, quella che possiamo chiamare la
“strada”, ovvero tutte le attività motorie non catalogate in contesti
sportivi che consentivano ai ragazzi di acquisire autonomamente capacità
a livello di coordinazione (destrezza, agilità). Mi riferisco al
semplice giocare a calcio sotto casa o a qualcosa di molto più semplice
come la “campana” dei miei tempi, attività che permettevano ai bambini
anche di socializzare. Oggi si comincia col nuoto, che in pratica è
l’unica attività sportiva della fascia pre-scolare, perché i genitori
cercano da subito di inserire i propri figli in un contesto sportivo.
Questa può essere un’arma a doppio taglio: da una parte canalizza il
bambino verso una particolare disciplina sportiva ma dall’altra toglie
un po’ di fantasia e forse un po’ di romanticismo che la “strada” dava.
All’inizio l’attività è di carattere educativo: bisogna far innamorare i
ragazzi, fargli amare il tennis. Non si può parlare di tecnica ad un
bambino di quattro o cinque anni, sarebbe prematuro, in particolar modo
in questo che è uno sport dai tempi lunghissimi, in cui la crescita va
di pari passo con l’acquisizione della maturità mentale. Il concetto di
precocità, se preso alla leggera, può danneggiare sia il bambino che lo
sport stesso. Oggi, contrariamente ad anni fa, noi insegnanti siamo
dotati di metodologie e supporti didattici che ci consentono di fare in
modo che i bambini non si annoino ed è questo lo scopo principale. Non
possiamo caricare dei bambini così giovani di eccessive responsabilità:
prima devono giocare e poi, crescendo, possono apprendere in maniera
diversa e capire che lo sport è una cosa seria. La sua etica dice che
bisogna vincere ma non a tutti i costi, che uscire sconfitti dopo aver
messo tutto l’impegno possibile è anche esso una vittoria”.
D: Anche perché il tennis è essenzialmente uno sport mentale.
Fabio Moscatelli: “Certo. E’ uno sport individuale in cui si
perde e si vince da soli e, prima che contro l’avversario, contro se
stessi. Non c’è un contatto con l’avversario, di nessun genere. Tutta la
corrente elettrica passa attraverso una pallina che va da una parte
all’altra del campo. Per natura, una cosa fatta da soli è molto più
difficile di una fatta in un ambito di squadra. I ragazzi quindi vanno
allenati non solo dal punto di vista fisico e tecnico, ma soprattutto da
quello mentale. Bisogna educarli alla sconfitta prima ancora che alla
vittoria perché il tennis è uno sport dove il pareggio non esiste. Poi,
ovviamente, ci sono il carattere e il cuore ed anche quelli devono
essere altrettanto allenati. Insomma, la crescita del giocatore va di
pari passo con quella dell’individuo. Capire come il bambino vive, cosa
mangia la mattina, quale sia il suo colore preferito: sono tutti esempi,
che apparentemente esulano dallo sport, ma importantissimi e che
servono a comprendere che persona è il ragazzo, facilitando enormemente
il lavoro didattico ed il rapporto con lui. Io non credo ai “Dr. Jekyll e
Mr. Hyde” nel tennis: quello che sei nella vita sei anche in campo”.
D: In tutto questo come si inserisce il ruolo dei genitori? Anche loro, come i bambini, non sono gli stessi di trent’anni fa.
Fabio Moscatelli: “Quella del rapporto tra genitori e maestri è
una storia antica quanto questo sport. I genitori sono fondamentali,
senza alcun dubbio, perché i genitori sono amore, affetto, ragionano col
cuore. Non esiste un genitore che non voglia bene o si disinteressi al
proprio figlio, sarebbe contro natura. Il Maestro (e in generale
l’allenatore) invece è il motore del meccanismo che si viene a creare
successivamente e che sta a lui comprendere. E’ chiaro che possono
esserci degli eccessi ed è qui che interviene il Maestro nell’aiutare
padri e madri a capire meglio le difficoltà che i loro figli possono
incontrare nelle loro esperienze agonistiche, a fare in modo che gli
siano vicini nelle sconfitte come nelle vittorie. I genitori sono la
fonte di quelle informazioni indispensabili di cui parlavo prima, perché
mentre io vedo l’allievo soltanto due ore al giorno, loro ci vivono
insieme e quindi lo conoscono in ogni dettaglio. Il rapporto tra
allenatore e genitore è fondamentale ma deve avvenire nel rispetto dei
ruoli: nessuno dei due deve porsi su posizioni che non gli competono. Il
confronto, lo scambio di idee e opinioni tra le due figure sono
elementi importantissimi per il ragazzo e per la sua crescita sia umana
che sportiva”.
D: Quanto conta nei bambini l’emulazione dei propri idoli sportivi? Pensi sia qualcosa di negativo?
Fabio Moscatelli: “Il mio compagno di banco nel 1976 si fece
tagliare i capelli come Adriano Panatta esattamente come oggi i bambini
fanno lo stesso urlo di Rafa
Nadal. La vita non è cambiata di molto in questo senso. Quello che è
cambiato, come dicevo prima, è la quantità di informazioni a
disposizione dei bambini oggi. Ricordo chiaramente le finali di Wimbledon
tra Borg e McEnroe trasmesse dalla RAI ma si trattava di eventi
sporadici, non c’era la copertura che c’è ora e spesso non si
conoscevano neanche tanti giocatori, che peraltro erano ad una
dimensione molto più umana di adesso. Non che sia troppo diverso per me
oggi: sono Maestro di tennis da tanto tempo eppure scelgo ancora le
racchette in base al colore. Ci sono invece persone che non vivono di
tennis che sono molto più informate di me sui giocatori e sulle loro
caratteristiche. L’imitazione conta, non è affatto negativa. E’ il primo
modo che ha un bambino per imparare qualsiasi cosa. In seguito, dal
punto di vista del tennis, si interviene per correggere tecnicamente
eventuali errori ma bisogna stare attenti alle degenerazioni: come
Maestro posso insegnare a giocare a tennis ma non posso insegnare ad
essere Federer. Da ragazzini noi giocavamo la veronica come Panatta e ci
sentivamo Panatta. L’emulazione è senza dubbio un meccanismo che aiuta
ad amare il tennis. Non solo: per fare un esempio, negli ultimi periodi
sono arrivati molti ragazzini che si sono iscritti perché invogliati
dalla visione di Supertennis”.
D: Veniamo alla nostra regione. Come va il movimento tennistico in Umbria?
Fabio Moscatelli: “Ti rispondo con la stessa frase che ripeto da
quattro anni in consiglio regionale: in Umbria noi siamo bravi. Con una
popolazione di soli 800.000 abitanti abbiamo circa 4600 tesserati con un
movimento di oltre 100 tabelloni di torneo all’anno. Abbiamo convocati
in Nazionale a livello giovanile, dei campioni italiani Over 35, per
citare alcuni esempi. Facciamo giocare oltre 10.000 persone l’anno, sono
cifre enormi per una regione così piccola. Quando si tratta di
preparare i calendari dei tornei siamo letteralmente ingolfati, ce ne
sono almeno tre a settimana. Abbiamo due grandi circuiti, l’Umbria
Tennis e il Circuito dell’Olio, che fanno giocare tennisti di categorie
minori. Dai tornei per non classificati fino al Challenger di Todi (la
nostra punta di diamante) c’è sempre un grandissimo successo. I Circoli
organizzano e si muovono con grande competenza e passione. L’Umbria in
questo momento esprime una capacità estremamente positiva che va ben
oltre le dimensioni della regione ed i potenziali umani ed economici di
cui disponiamo”.
D: E a livello nazionale?
Fabio Moscatelli: “C’è troppo disfattismo in questi ultimi anni, non credo affatto che il tennis italiano sia stato in crisi anche prima che Sara Errani e Roberta Vinci iniziassero a vincere. C’è chi dice che la Svizzera ci è superiore perché ha Roger Federer,
ma in quel caso stiamo parlando di un talento unico che non ha niente a
che vedere col concetto di movimento, il genio è un’altra cosa. In
crisi vera sono paesi come gli Stati Uniti e la Svezia, non l’Italia.
Abbiamo vinto la Federation Cup per tre volte negli ultimi sette anni,
le donne stanno portando risultati eccezionali, Seppi
è appena entrato tra i top 20, abbiamo giovani promesse
interessantissime come Quinzi e Baldi. Questi non sono risultati da
crisi, soprattutto tenendo conto che il tennis non ha le possibilità
economiche che hanno, ad esempio, sport come il calcio. Certo, non
abbiamo il numero uno del mondo, ma non lo abbiamo mai avuto. E’ forse
un problema? Stiamo assistendo finalmente ad una sprovincializzazione
della nostra cultura che ci sta aiutando molto, stiamo imparando a
guardarci intorno: vent’anni fa era un problema mandare un ragazzo a
fare un torneo a Roma, ora è nella normalità vedere un Under 14 che
gioca all’estero da solo e che sa ben districarsi perché conosce
l’inglese. Non avere fretta ed aprirsi al mondo che ci circonda sono le
chiavi per il successo del tennis italiano”.
D: Per concludere, possiamo dire che nel nostro Paese si
gioca troppo sulla terra battuta, considerando che buona parte del
tennis è sul veloce?
Fabio Moscatelli: “E’ la verità. Nella mentalità dei giocatori
dei Circoli italiani quello in terra battuta è il campo di “serie A” ed è
il più richiesto. A supporto di questo c’è un discorso fisico piuttosto
ovvio: la terra è lenta e si scivola, si fatica meno soprattutto se si è
avanti con l’età. Questa superficie però ha bisogno di manutenzione:
c’è sempre bisogno di qualcuno che la curi e deve saperlo fare bene,
cosa oggi piuttosto rara. Giocare sempre sulla stessa superficie
significa, per i giocatori che aspirano a raggiungere certi livelli, non
avere possibilità di imparare ad adattarsi ad altre. Non è quindi la
questione tecnica a preoccuparmi, ma l’adattabilità dei giocatori che
quando poi vanno all’estero, dove si gioca su altre superfici, fanno
fatica. Negli Stati Uniti, per fare un esempio, nei Circoli anche i non
più giovanissimi giocano sul veloce, perché sono abituati. Spetta ai
Circoli quindi fare degli investimenti graduali: non sto dicendo che la
terra battuta vada smantellata, ma dobbiamo dare la possibilità alle
generazioni future di giocare anche sul veloce per essere più
competitivi a livello mondiale”.
Il Tennis Club Terni, attivo dal 1975, è dotato di sette campi in terra battuta, uno in erba, uno per il calcetto, una palestra, tre piscine ed un campo da golf per un’estensione totale di otto ettari di terreno. E’ uno dei maggiori centri sportivi della regione Umbria.
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